La terza divagazione di quest’estate arsa dagli incendi e da maltempo antropocenico, partendo dal laboratorio politico, economico, sociale di Adriano Olivetti e dalla sua fabbrica comunitaria oggetto della precedente riflessione, mi conduce a esplorare un altro «laboratorio» che trovava realizzazione, questa volta, in una delle città medioevali più illustri della terra italica agli inizi del ‘300. Si tratta d’un laboratorio di «comunicazione politica», come lo definisce nel sottotitolo l’autrice, Gabriella Piccinni, di Operazione Buon Governo (Einaudi, 2022), il libro che sto leggendo e che mi offre lo spunto per questa divagazione. Vediamo le ragioni.
Innanzi tutto perché leggendo le sue pagine e godendo delle immagini che propone, ossia gli affreschi del Buon Governo dipinti da Ambrogio Lorenzetti che adornano il palazzo del Comune di Siena, ci torna in mente come un monito (sarebbe un guaio dimenticarlo) che i governi possono essere buoni ma anche cattivi. Intendo questa parola in modo esteso, vale a dire nel senso che i governi non sono solo quelli che sono a capo di Stati e guidano popoli, ma anche quelli che dovrebbero prendersi cura delle imprese e delle altre organizzazioni.
Oggi è invalso l’uso, quando vogliamo riferirci a questa dimensione di “sistema di governo”, del termine Governance, un sistema che va progettato bene e anche misurato correttamente con metriche appropriate, come ci ha suggerito – ricorderete – la divagazione olivettiana.
In effetti, avere a che fare con governi buoni o cattivi fa una bella differenza. Perché ci sono conseguenze importanti, nell’uno e nell’altro caso, per la vita dei lavoratori, dei cittadini, delle famiglie, delle comunità e dei territori. È desiderabile, dunque, che l’impresa (ma anche lo Stato) siano ben governati.
Attenzione però perché gli affreschi del Buon Governo non riducono questo governo a «tecnica», a un semplice saper fare seguendo regole e metodiche. Il Buon Governo infatti ancor prima trova legittimazione in una visione, sull’idea che ha del mondo, sullo sguardo con il quale intende relazionarsi con gli altri esseri viventi, con le cose, con la Terra, con le generazioni che verranno dopo.
Il Buon Governo, insomma, è funzione piuttosto dello scopo che un’organizzazione si da, ecco perché scrivevo che questa terza divagazione nasce dalla precedente che rifletteva sull’importanza del «purpose».
Non ci può essere allora Buon Governo senza un orizzonte di «bene comune» che lo qualifichi e lo renda solido, giusto, desiderabile agli occhi dei governati. Secondo questa prospettiva a dover primeggiare– suggeriscono gli affreschi di Lorenzetti e la Canzone del Buon Governo – dovrebbe essere il Bene Comune che, nelle pareti affrescate celate dal palazzo di Piazza del Campo, regna nel trono della città incarnato nell’immagine del Vecchio. Ma cos’è la Canzone? Val la pena ricordare che ci si riferisce alla vistosa iscrizione in italiano volgare che corre nella sala affrescata del palazzo del Comune di Siena all’altezza di chi guarda. Scrive a tal proposito Gabriella Piccinni:
«Si tratta delle parole di un componimento di settantadue versi […] in due bande che corrono sotto le scene e impaginate in due tabelle epigrafiche […]».
Ecco allora che questi affreschi, che meritano di essere ammirati più volte nella vita e visitati sin da giovani per coltivare senso civico e responsabilità, si rivolgono a noi direttamente interrogandoci sul presente. Aggiunge efficacemente l’autrice (p. 89) che i dipinti si trasformano
«in un luogo ideale per affrontare in termini generali anche la grande discussione odierna sui beni comuni, collettivi o pubblici, quelli che appartengono a tutti e a nessuno e che a tutti generano vantaggi perché sono funzionali all’esercizio di diritti fondamentali».
Le implicazioni del Buon Governo che coltiva il «Ben Comun» (così è chiamato nella Canzone), potremmo dire, sono la pace, il rifiuto delle armi, l’armonia, la concordia, l’equità, il benessere materiale, fisico e mentale delle persone. C’è una parte negli affreschi che chiarisce bene le relazioni tra cittadini e Governo. Leggiamo questo passaggio molto efficace (p. 69):
«Se c’è un punto, nei nostri affreschi, nel quale la dialettica tra gli individui e la dimensione del collettivo è particolarmente esplicita questo è il gruppo dei ventiquattro cittadini che procedono in doppia fila […] essi hanno il compito […] di accompagnare fino al Vecchio un oggetto molto prezioso, la lunga fune affidata loro dalla Concordia […]».
È l’unità degli «animi molti» (come scrive la Canzone), infatti, che consente di immaginare, vivere e testimoniare attraverso gli affreschi una società vivace e laboriosa, benestante e gioiosa, sicura perché stretta nella corda della fiducia che la sostiene e crea valore condiviso. Nessuno arraffa avidamente risorse comuni per coltivare egoismi e logiche di breve periodo, tutti invece alzano gli occhi dal proprio fazzoletto di terra per guardare il territorio della comunità, laddove occorre impegnarsi per garantirne la più benefica fertilità. Va bene, si potrebbe obiettare, si tratta pur tuttavia solo di un sogno. In verità, l’efficacia comunicativa del ciclo di affreschi del Buon Governo sta proprio nella capacità di Lorenzetti, sottolinea ancora l’autrice (p. 43)
«di esporre i tratti di un’utopia politica proponendola come realizzabile e trasponendola in un racconto dotato di credibilità».
A questo lo scopo di questo divagare appare chiaro. Quando si sfogliano le pagine del volume, infatti, il pensiero suggerisce al lettore di meditare su questo nostro tempo segnato, per la gran parte di noi inaspettatamente, da un Governo che rimane in vita per «il disbrigo degli affari correnti», in attesa che le prossime elezioni nominino un nuovo (ridotto) Parlamento, lasciando emergere maggioranze e candidature per la guida del Paese.
È difficile non provare qualche timore soffermando lo sguardo sugli affreschi. La domanda che ci interroga gravemente, in qualunque luogo si stia trascorrendo quest’estate elettorale, suona così: «stiamo correndo il rischio che il senso più profondo del laboratorio di quest’Italia del Trecento, affrescato magnificamente da Ambrogio Lorenzetti, venga brutalmente violentato e messo ai margini»?
È un timore tutt’altro che esagerato o non attuale a giudicare quello che offre alla vista (e alle orecchie) l’arena di una politica polverosa, popolata da decine e decine di piccole bandierine segnaposto (per sedersi a quale tavolo?) che ha grande difficoltà a portare con dignità il vessillo del bene comune. Al di là, ovviamente, delle parole e delle retoriche, degli slogan e delle promesse numerose e talvolta – per la loro irrealizzabilità – anche offensive. Allora, mi fa piacere chiudere questa terza divagazione proponendo un ultimo brano della Piccinni che trovo assai appropriato per i tempi che corrono (p. 73):
«La signoria del Bene Comune trae la sua investitura soltanto dal mandato che riceve da coloro che lo sostengono uniti (gli animi molti … un ben comun per loro signor si fanno) e che sono perciò anche i responsabili della scelta della forma di governo».
Non c’è da aggiungere nulla.
Cherubina Habetswallner dice
La divagaziine mi sembra molto interessante e appropriata e mi piace molto utilizzare gli affreschi del Lorenzetti (peraltro decisamente belli) per riflettere sul dover essere.
Purtroppo devo condividere anche le preoccupazioni per il prossimo futuro
Grazie Gabriele
Gabriele Gabrielli dice
Ciao Cheru e grazie per il commento. Come non essere d’accordo e sentire molta preoccupazione? Malgrado ciò la speranza occorre coltivarla insieme alla cultura e i suoi semi che da qualche decennio sembra attecchiscano poco… Un abbraccio 🙂
Marcella dice
Grazie Gabriele,
e’ un affresco che mi ha sempre suggestionato per il suo potere evocativo delle virtù civiche che caratterizzano comportamenti di cittadinanza attiva e responsabile.
Non perdiamo la speranza in un risveglio dello spirito di fratellanza!
Marcella
Gabriele Gabrielli dice
Cara Marcella, grazie per il commento e il pensiero di speranza che lo guida. Scrivi proprio bene, andiamo avanti con “spirito di fratellanza”
Grazie 🙂
Gab
Melissa de Teffé dice
Tutto molto interessante anche se rimango convinta che siamo in un era di passaggio ossia questo sistema partitico non funziona più, ovunque si guardi. Siamo in balia di una oligarchia ignorante. Chissà come passeremo all’altra sponda? Avremo bisogno di una seconda rivoluzione francese?
Gabriele Gabrielli dice
Grazie Melissa per il tuo commento e per il rilancio… Il tema della “transizione” è sempre questione complessa, mai però perdere di vista quello che ciascuno può fare nel piccolo. Buon proseguimento! Gab