Sarebbe un successo se le persone capissero che i lavori della Cop26 sono stati un fallimento. In sintesi è questa l’amara valutazione che Greta Thunberg esprime sull’esito dei negoziati di Glasgow appena conclusisi. Il mondo ha bisogno di interventi immediati e non del «bla bla bla» a cui ci hanno fatto assistere i leader mondiali.
Ma le giovani e i giovani del movimento Friday For Future non si arrendono. Anzi, «sta aumentando la pressione”, dichiara Vanessa Nakate, l’attivista ugandese che ha invitato tutti a dimostrare che i giovani hanno torto sul clima. Ora, lascia intendere che le fila del popolo di chi vuole fatti e non parole si stiano ingrossando.
L’accordo però c’è e bisogna accoglierlo con rispetto. Come non apprezzare il risultato del lavoro defatigante di quanti ricoprono un ruolo al quale – scrive Federico Rampini – non si addice «la logica del tutto e subito»? I grandi «devono governare il mondo reale, fare compromessi, bilanciare le priorità». Ascoltare e dar retta a Greta Thunberg è un lusso che solo l’Occidente può permettersi, annota ancora Rampini. La transizione ha bisogno dei suoi tempi soprattutto nell’Oriente. Il prezzo da pagare in termini di disoccupazione e povertà sarebbe troppo alto.
Difficile non essere disorientati di fronte a due narrazioni così diverse. Si prova uno stato di forte disagio.
«Trovato l’accordo» è invece il proclama che sancisce comunque la soddisfazione per il lavoro fatto. Certo si poteva fare di più, si ammette. Gli opinionisti dei principali quotidiani italiani parlano così di «accordo dimezzato» e di «accordo al ribasso».
In realtà c’è anche una terza narrazione, quella delle grandi imprese e delle società “indipendenti” che stilano classifiche delle migliori performance sostenibili. Sono ben 14, si apprende, le società italiane al vertice della classifica globale del Dow Jones Index che vengono identificate in base a criteri economici, ambientali e sociali a lungo termine.
Tutto bene allora? Macché! Mario Calderini qualche giorno fa avvertiva che «la grammatica che chiamiamo criteri Esg, con la quale misuriamo le prestazioni ambientali e sociali delle imprese e dei portafogli finanziari …non solo è fragile e incoerente…ma incorpora alcune caratteristiche che riflettono e amplificano le deviazioni del sistema capitalistico, invece di correggerle».
Che fare allora? Cosa succederà alla nuova Torre di Babele che abbiamo eretto dove si parlano lingue diverse e soprattutto non si ascolta? Il racconto della Bibbia (Genesi, 11, 1-9) è chiaro. Quando gli uomini parlano lingue diverse, e non hanno la stessa visione del mondo che abitano, cessano di costruire la città comune. A quel tempo la situazione fu nefasta, lo sarebbe ancora di più oggi che viviamo l’epoca della interdipendenza globale. Il dialogo tra le nuove generazioni e i grandi del mondo sembra si stia surriscaldando come il clima che massacra l’ambiente. Si può cambiare strada? Ancora sì, ma bisogna smettere di rincorrere successi effimeri e ranking che addomesticano il senso di urgenza.
Piuttosto occorre ascoltare le grida delle più giovani generazioni prima che si trasformino in altro.
Filippo dice
L’urgenza c’è tutta, la consapevolezza meno (ma cresce) e alcuni paesi ahinoi vivono e si sostegano con il carbone. Occorre che ciascun paese non aspetti gli altri, ricercando lingue comuni che non si troveranno mai, ma agisca da subito al massimo delle sue possibilità. E ciascuna persona pure: ciascuno di noi può far molto e dobbiamo educarci a considerarla una priorità.
Gabriele Gabrielli dice
Condivido Filippo, ciascuno di noi può far molto dal piccolo!