La situazione del lavoro nel paese, a tutte le latitudini dal nord al sud, si sta surriscaldando. Le decisioni di sempre più numerose imprese multinazionali di licenziare i lavoratori e chiudere stabilimenti, fabbriche e unità produttive lasciano sgomenti non solo lavoratori e sindacati, ma anche cittadini e istituzioni. Colpiscono soprattutto due fatti: le modalità con le quali i licenziamenti vengono comunicati e il disinteresse delle imprese a ricorrere alla cassa integrazione guadagni.
La modalità di comunicazione scelta sembra usare il registro della «connessione» rifiutando di prendere in considerazione quello della «relazione».
Non si discute, non ci si siede a un tavolo ma ci si porta avanti, costruendo muri che chiudono per interdire qualunque possibilità di discussione. La scelta è stata presa e non se ne parli. Tutto il resto è una perdita di tempo. Una modalità che svilisce il lavoro depauperandone il suo valore sociale. Indica senza mezzi termini così il significato attribuitogli dalle imprese e dal management: il lavoro e le persone sono un fattore produttivo come gli altri, come tali hanno un prezzo e sono sostituibili. La dignità dunque è categoria non conosciuta e respinta, non ha cittadinanza in questa concezione del business management.
La circostanza poi che le imprese non prendano nemmeno in considerazione la possibilità di ricorrere agli strumenti di gestione della crisi sembra comunicare anche un certo fastidio verso meccanismi che sono considerati solo una perdita di tempo. Perché dovremmo imbarcarci in processi e procedure – questo probabilmente è il ragionamento non dichiarato – che ci distoglierebbero dall’obiettivo? Meglio saltare ogni fase che allungherebbe i tempi di implementazione delle decisioni prese da qualche parte nella geografia opaca del capitalismo senza volto e senza sostenibilità.
È in questo contesto di crescente disorientamento e paura che si stanno diffondendo iniziative di mobilitazione tra i lavoratori che rischiano di prendere forme più forti ed estese. “Insorgiamo
”, è l’invito rivolto ai lavoratori da Dario Salvetti delegato della Rsu Gkn, impresa che ha avviato la stagione dei licenziamenti senza relazione, riportato da Ilaria Ciuti su la Repubblica (ed. Firenze del 20 luglio 2021). “Trasformiamo questa lotta in una mobilitazione generale
”, continua il delegato sindacale. Aggiunge poi: “Firenze suoni la Martinella: entriamo in guerra per liberarci. Insorgiamo insieme
”. La Martinella – come leggiamo qui – “è una campana assai famosa a Firenze. In origine la campana era fissata all’interno dell’arco situato in Via Por Santa Maria (ove c’erano le mura della città) e veniva suonata solo quando la guerra era imminente, inevitabile o iniziata”. Proprio per questa ragione la campana è anche conosciuta con il nome di “Bellifera”, una campana che annuncia e che porta guerra.
In questo tempo allora – per dirla con Ernest Hemingway – «Per chi suona la campana»?
Chi dovrebbe prestare orecchio al suo suono per evitare il peggio, quando siamo ancora concentrati a gestire i drammi e i pericoli di una pandemia che non si ferma? Come frenare le pratiche che offendono la dignità del lavoro e che scorrazzano nelle praterie di un’economia che predica sostenibilità ma agisce in altro modo? Quello che stiamo vivendo in questi giorni non può essere catalogato solo come cronaca o attualità, ha piuttosto il sapore di una prova generale per comprendere quanti credono davvero che occorra cambiare direzione all’economia e al fare impresa e quanti invece continuano a resistere, accampati sotto il vessillo del paradigma individualista.
Pubblicato il 21 luglio 2021 sul blog EllePì: www.lavoroperlapersona.it
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